Non sappiamo fino a quando si prolungherà la condizione di eccezionalità in cui è stata messa la scuola. Perciò occorre prepararsi senza prendere iniziative affrettate, che in qualche caso potrebbero essere opportune ma in altri rischiano di essere perfino dannose.
Possiamo nutrire dubbi sulla capacità degli organi di governo della scuola (Ministero, Assessorato, Dipartimento) di gestire la situazione emergenziale che è stata decretata tenendo conto delle diverse problematiche che essa comporta. Però non possiamo nemmeno pensare che dirigenti scolastici e docenti si sostituiscano alle responsabilità degli organi di governo. Quindi non bisogna strafare: ad ognuno le sue responsabilità, che sono ben distinte tra docenti, dirigenti e governo.
L’ultimo decreto del governo (DPCM 4 marzo 2020 art. 1. lett. d) parla di “possibilità” della didattica a distanza; la lettera g) stabilisce che “i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza”. Questo non significa che in nome dello “stato d’eccezione” i dirigenti possano decidere da soli: le modalità didattiche rimangono di competenza del collegio docenti, che in questa situazione è chiamato a responsabilizzarsi, riunendosi nel rispetto delle disposizioni in materia di igiene e sicurezza.
Infatti, in base al Protocollo d’intesa tra tutti i sindacati della scuola in Trentino e l’Assessorato (5 marzo), i dirigenti devono concordare le iniziative con gli organi collegiali (collegio docenti e sue articolazioni e consigli di classe).
Il principio è: la responsabilità delle scelte didattiche spetta ai docenti. L’applicazione di tali scelte (mezzi, organizzazione) è compito dei dirigenti scolastici, non viceversa.
La responsabilità didattica è cosa seria: i docenti non devono abdicare a questa responsabilità accettando proposte senza riflessione e confronto. Ci vuole tempo? È un tempo necessario. Occorrono riunioni straordinarie degli organi collegiali? Di sicuro – ed è compito dei dirigenti convocarle e organizzarle nelle modalità adeguate alla situazione. Ad ognuno le sue responsabilità e i suoi compiti, specie nelle emergenze, altrimenti sarà il caos.
Occorre riflettere su quali siano le scelte concretamente più efficaci e al tempo stesso praticabili: gli studenti non possono passare le giornate davanti al computer e non in tutte le famiglie c’è un computer per ogni figlio, né un’adeguata copertura di rete. Non può essere la scuola a creare o alimentare il “digital divide”. Senza dimenticare i rilevantissimi problemi di privacy sia per quanto riguarda gli studenti che per i docenti (diversi video stanno già girando in rete).
Occorre che le scelte didattiche siano proporzionate ai diversi livelli e tipi di scuola; alle diverse materie e alle loro finalità specifiche, tenendo conto che si tratta di soluzioni tampone e provvisorie. Non stiamo improvvisando una scuola telematica ma solo rimediando a un problema circoscritto (la sospensione delle attività a scuola). In ogni caso non bisogna scambiare i mezzi tecnici per i fini della didattica.
Non è detto che le lezioni “a distanza” siano l’unica scelta, né quella più sensata. Riflettiamo sul carattere di tali “lezioni”: non è “realtà aumentata”, è scuola impoverita. Non c’è reale interazione con gli studenti o l’interazione è estremamente ridotta. La trasmissione è a senso unico. Le lezioni sui “canali” youtube non sono scuola a distanza, sono “tutorial”. Se ce ne dimentichiamo vuol dire che ci siamo dimenticati cosa sia la scuola: rapporto personale docente-studente e tra studenti.
Quindi, in un periodo che impone separazione, più che parlare di didattica a distanza proviamo a ridurre la distanza tra scuola e ragazzi. Per restare comunità educante unita, nel tempo del coronavirus.
La scuola però è anche verifica degli apprendimenti e valutazione: come si possono realizzare questi obbiettivi “a distanza”? Ne abbiamo i mezzi? È possibile per tutte le materie?
Sono domande da fare ai dirigenti troppo intraprendenti e a noi stessi.
Potrebbe darsi che la sospensione delle lezioni, quantomeno nelle scuole superiori, sia un’occasione per spingere i nostri allievi, grandi e piccoli, ad essere autonomi. L’autonomia nello studio è uno dei principali fallimenti della scuola attuale (o una carenza, se vi piace di più). Ma la scuola non è una balia.
Allora cogliamo l’occasione per far lavorare gli studenti in autonomia; poniamo problemi e non soluzioni; facciamo produrre, non assimilare.
Non possiamo seguire lo studio passo passo? Bene: gli studenti devono arrangiarsi un po’ e questo li farà crescere – specie se questa situazione dovesse prolungarsi.
Modalità del genere sono vera scuola e sono meno invasive delle video-lezioni: richiedono appuntamenti, non orari fissi, e lasciano a studenti e famiglie la possibilità di organizzarsi con più flessibilità (pensate anche ai fratelli maggiori che accudiscono quelli più piccoli).
Una volta si polemizzava contro le scuole-caserme: vogliamo una caserma telematica?